sabato 30 novembre 2013

Giocare da soli non significa giocare in solitudine

Mia figlia ha sempre avuto difficoltà a giocare da sola, chiedeva continuamente la nostra partecipazione ai suoi giochi. Percepiva i nostri inviti a fare qualche attività da sola come disinteresse, distacco se non addirittura abbandono. Non era neanche sufficiente la presenza nella stessa stanza, voleva la nostra completa attenzione.

Siamo convinti che la crescita implichi anche una certa autonomia nel gioco. Giocare da soli non significa giocare “in solitudine”. Vuol dire che un bambino è in grado di usare la fantasia, di immaginare in autonomia situazioni nuove e diverse senza bisogno che un adulto le crei per lui.
Non è stato facile riuscire a raggiungere con serenità questo obiettivo. C'è voluto tempo e una strategia a piccoli passi. Il bambino deve arrivare a capire che nella dinamica di una giornata a casa è normale rimanere in una stanza da solo a giocare mentre un genitore è nell'altra a fare qualcosa o, pur rimanendogli vicino, è occupato. Il piccolo deve aver compreso che l'assenza è solo momentanea. Alcune volte è sufficiente affacciarsi alla porta per evidenziare la propria presenza.
Soprattutto, e qui sta l'elemento vincente, deve riuscire a divertirsi anche giocando da solo. Quindi, non si può imporre. Deve venire naturale.
Ogni bambino, inoltre, ha un proprio carattere, proprie attitudini e propri tempi.

Nella mia esperienza ci sono attività che favoriscono il gioco in autonomia. Per mia figlia, tutto quello che implica assemblaggio o manipolazione. Ultimamente le costruzioni e i puzzle sono in cima alle sue preferenze.
Abbiamo dei contenitori con pasta e ceci che utilizza per travasare in piatti e bicchieri di plastica immaginando di fare la pappa.
Non le piace colorare da sola, si annoia dopo pochissimo. Quella è un'attività che preferisce fare insieme a noi.  
Le abbiamo comprato una lavagna (lato gessi/lato pennarelli) ma dopo un pochi scarabocchi ci chiama per giocare insieme. Ma in questo forse incide anche il fatto che a me piace disegnare...

sabato 23 novembre 2013

Attenzione! Gruppetto di mamme fuori da nido/materna

Premesso che in Italia c’è la libertà di riunione sancita dall’art.17 della Costituzione, personalmente metterei una piccolissima postilla per un’eccezione da non trascurare: il gruppo di mamme fuori dalla scuola.
Anticipo la critica che per i papà questo non avviene perché di solito non ci sono. Non è così vero, o comunque sempre meno vero. L’ho già detto, i papà non si riuniscono in gruppi. Anche se ci fossero, si vedrebbero davanti al portone della scuola in ordine sparso. Al massimo due insieme. Gli uomini si riuniscono, ma quando sono in veste di papà no. 

Il fenomeno è all’analisi di eminente studiosi ma ancora non si è arrivati a una soluzione. Voci non confermate dicono che qualcuno nel tunnel sotterraneo del Cern di Ginevra ci stia lavorando, tra un bosone e un altro.
Il gruppo di mamme fuori dalla scuola assume una personalità propria, con proprie caratteristiche. Una specie di superindividuo, una super mamma.
Di solito in questi gruppi vengono vivisezionate le maestre (lei ci sa fare con i bimbi però non è molto severa, lei è troppo servera), i programmi (non si potrebbe fare di più? stanno trascurando l’inglese?), la mensa (possibile che non ci siano mai gli spaghetti!), ci si confronta sulle attività post-scuola (con i timori contrastanti, mai confessati neanche sotto tortura, di fare meno degli altri), sulle scelte dei pediatri (confrontando medicine e metodi di visita, il medico troppo allarmistico e quello che tende a sottovalutare).
Di solito il gruppo si compone un po’ prima dell’orario dell’uscita, si va un po’ prima per poter proprio fare due chiacchiere, e si scioglie diversi minuti dopo l’uscita dei bambini.

Gli ultimi studi hanno dimostrato che la creazione del “gruppo di mamme” non è legato alla vicinanza della scuola ma vale anche per la fermata dello scuolabus.
Sono state scoperte anche mamme refrattarie al “gruppo”, quasi immunizzate, che non ne sentono il richiamo. Di solito arrivano in prossimità dell’ora di uscita, rimangono in disparte in attesa del figlio e poi se ne vanno.
  
Attendiamo fiduciosi gli sviluppi della scienza.

Nel frattempo, accanto al classico cartello stradale di attenzione per vicinanza a una scuola, metto il mio personale. 

martedì 19 novembre 2013

Lezioni di autonomia

Qualche sabato fa ho portato mia figlia a una “lezione prova” per alcuni incontri di laboratori creativi per bambini. I “tre anni” sembrano il limite minimo per partecipare a queste iniziative e volevo vedere come era l’ambiente, come erano organizzati e soprattutto se le piaceva.
Avevamo pensato di farla partecipare a qualche attività senza pesare su una settimana già abbastanza stancante, che non fosse percepita come un ulteriore impegno ma come una piacevole novità oltre a quello che fa alla scuola materna e con noi a casa.

Quando siamo arrivati c’era una bambina di un anno più grande insieme all'insegnante che aveva organizzato il corso. Non appena ha visto colori e pennelli si è avvicinata al tavolo incuriosita.
Sono rimasto seduto vicino all'ingresso, volevo che la mia presenza fosse di minimo disturbo permettendo comunque di darle sicurezza in un ambiente nuovo.
Dopo che ho visto che ormai il ghiaccio era rotto mi sono allontanato, pur rimanendo nello stabile della cooperativa, così da liberare tutti dalla presenza di un osservatore esterno.

Dopo una ventina di minuti sono passato davanti alla stanza. La porta a vetri era aperta e mia figlia era intenta a ritagliare dei fogli di carta colorata per fare una specie di collage insieme alla sua nuova amichetta.
Quando mi ha visto ha fatto un sorriso soddisfatto, si è avvicinata e muovendo la mano mi ha apostrofato con:
Babbo, vai a fare una giratina.

Credo che nel percorso di crescita dei nostri figli a noi genitori servirà sempre di più trovare la "giusta distanza" (come già scritto).

mercoledì 13 novembre 2013

La strada che porta al domani

Tra i tanti viaggi che ho fatto ci sono dei volti che mi sono rimasti impressi.
Tra i molti ricordo quella di una bambina.

Non eravamo neanche così lontani da casa, come capitato altre volte. Rientravamo su un fuoristrada da un’escursione nelle oasi di montagna della Tunisia, le ultime luci del giorno ci accompagnavano lungo una strada che sembrava un’unica striscia di asfalto in mezzo al niente.       
Ad un certo punto la guida che era al volante mise la freccia e accostò. Ci chiese un po’ di pazienza. Io gli ero seduto accanto e mi fece cenno di aprire la portiera.
Dopo pochi secondi apparve una bambina piccola con uno zaino sulle spalle. Si tolse lo zaino e si sedette nel mio sedile. Ci stringemmo e ripartimmo.
Percorse diverse centinaia di metri l’uomo rimise la freccia e accostò. Ancora apparentemente in mezzo al nulla. La bambina ringraziò e scese. Prima di ripartire riuscii a vedere una piccola luce in lontananza, sicuramente la sua casa.
Solo allora, penso per non imbarazzarla, la nostra guida ci spiegò che quella bambina camminava tanto a piedi per andare e tornare da scuola e quando gli capitava di incontrarla per quella strada che percorreva frequentemente per lavoro le dava volentieri un passaggio.

Le cronache di questi giorni su ragazzine disposte a tutto per avere una ricarica di un telefonino, il cellulare di ultima generazione o una borsa firmata mi riportano inesorabilmente su quella strada.

Mi sono ripromesso di dare anche io i miei "passaggi".
 

domenica 10 novembre 2013

"Non è impossibile. E' difficile." #ibimbicinsegnano

Qualche sera fa, dopo la seconda volta che costruiva uno dei suoi puzzle grandi, mia figlia ha avuto l'idea di girare i pezzi. Ovviamente non c'era l'immagine come nel lato principale ma una trama che ripeteva piccoli disegni. Pretendere di fare il puzzle da quella parte significava provare quasi ogni pezzo perché le differenze erano veramente lievi e a occhio non si riusciva a individuare quello giusto.

Lei si gira proponendomi di farlo insieme.
Non so perché, forse la stanchezza della serata o per non volerle far fare una cosa che sicuramente non sarebbe stata in grado di fare da sola in autonomia, ma mi è scappato:
Non si può fare, è impossibile”.
Mi guarda alcuni secondi e spontaneamente mi gela con:
Non è impossibile. E' difficile.
Sarei sprofondato.
Nonostante cerchi di stare attendo alle espressioni che uso quando parlo con lei, questa volta ho proprio sbagliato.

Ogni tanto sono i bambini che ci insegnano.
#ibimbicinsegnano

lunedì 4 novembre 2013

Lo zen e l'arte di accompagnarla alla materna


Un famosissimo libro di quasi 40 anni fa prendeva spunto dalla domanda se ci fosse differenza tra chi viaggia in motocicletta sapendo come funziona la moto e chi non lo sa. Tra le tantissime profonde riflessioni presenti nel racconto, tra quelle un po’ più di superficie ricordo che per garantire la qualità della manutenzione non è sufficiente il libretto delle istruzioni. E che solo un meccanico che tenga al proprio lavoro sia in grado di trovare una soluzione ai problemi perché si baserà sulla sua esperienza passata e non vedrà una piccola vite come singolo elemento ma come parte di un tutto.
 
Allo stesso modo mi troverei veramente in difficoltà nello scrivere delle istruzioni per chi dovesse occuparsi della sveglia e della preparazione di mia figlia per la materna.
Perché non ci sono nessi causa-effetto, se non solo in apparenza, o certezze di comportamenti o di reazioni che possano garantire gli obiettivi di un buon risveglio e un ingresso sereno a scuola.

Ogni mattina c’è qualcosa di lievemente diverso. Magari un brutto sogno, non così presto da poter ripiombare nel sonno ma neanche così vicino all’ora della sveglia per alzarsi e iniziare a prepararsi, o risvegli disperati perché il pupazzetto della nanna non è più nel letto. All’opposto, mattinate nelle quali qualsiasi cosa, neanche una sirena dei pompieri, sembra riuscire a farle aprire gli occhi.
Volte nelle quali la prima parola che dice è “Latte” contro altre che ne rifiuta anche la vista pur finendo in entrambi i casi a berlo tutta contenta.
Mattine in cui qualsiasi vestito va bene contrapposte ad altre nelle quali occorre riuscire a convincerla che quella felpa non è così brutta.
Ingressi al nido con un saluto di sfuggita correndo verso la stanza con i giochi e le amichette e altri nei quali ci vuole un abbraccio forte forte e due baci, uno grande e uno piccolo, per darle la forza di entrare.
Interpretare un suo “Sì” o “No” o un suo comportamento diventa come trovare un motivo a quel rumorino nel motore. Non si può spiegare.
Solo conoscendola e vivendoci insieme si riesce a trovare al volo la scelta che rappresenta una delle soluzione che permette di ripartire. Perché non c’è “la soluzione”, non c’è “il modo”. C’è una o più soluzioni che vanno bene per lei e per quel momento ma che non è possibile definire a priori.

Ho cercato e ricercato dal ritorno dall’ospedale ma non c’erano libretti di istruzioni per il modello che avevo, particolare e unico come ogni bambino. Non avrebbe neanche senso mettersi a scriverlo. Sarebbe solo tempo perso.